C'era una volta un Paese, che all'inizio degli anni '90 decise di dire addio al Comunismo. La scelta fu accolta con grande entusiasmo dai mercati e dalle istituzioni finanziarie mondiali, che presero rapidamente accordi con l'allora Governo per mandare strapagati funzionari presso la capitale, ed indicare le riforme necessarie per poter entrare nella giostra del libero mercato e dello sviluppo. Furono consigliate (ed eseguite) radicali privatizzazioni, fu consigliato (ed eseguito) il taglio della spesa pubblica, fu consigliata (ed eseguita) una forte limitazione dell'intervento dello Stato, da sempre avversato dai sostenitori del libero mercato e dai teorizzatori dello sviluppo illimitato. Fu fatto tutto a regola dell'arte e le attese per un'incremento sostanziale di competitività e di sviluppo salirono a dismisura. Il Paese si lanciò nel consumo più sfrenato, investendo in maniera non proprio trasparente ma in linea con i dettami del FMI, della Banca Mondiale e di altri soggetti similari. Oggi, dopo vent'anni di "vita spericolata", il Paese è devastato dalla corruzione, non c'è più ombra di sviluppo, l'economia è in ginocchio e quei pochi che si sono arricchiti sulle spalle degli altri o sono al Governo (e vengono duramente contestati, se non costretti alle dimissioni), o sono scappati con i capitali all'estero.
Il Paese in questione, ora ve lo svelo, è la Mongolia, e l'articolo che vi ho riassunto, comparso su Internazionale del 8/14 Giugno scorso, è di Morris Rossabi, per East Asia Forum.
Non vi pare che la situazione mongola abbia delle inquietanti analogie con quanto sta succedendo in Europa? Non vi sembra che, nonostante tutto, queste truffaldine istituzioni finanziarie continuino a proporre sempre le stesse soluzioni, nonostante l'evidenza dei fatti consigli esattamente il contrario? Non vi sembra che ci si ostini a chiedere soluzioni alla crisi, a chi la crisi l'ha provocata?
Ebbene, spero che l'Europa non faccia la fine della Mongolia.
Saluti
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